mercoledì 7 settembre 2011

ti amo

Ti amo



Ti amo.
Non so se te l’ho mai detto, ma ti amo. Alla fine mi son deciso. Ma è dura...mamma mia se è dura dirtelo. Sono anni che stiamo insieme, e mi accusi sempre di un sacco di cose. Ogni tanto ti girano, ultimamente poi...non ne parliamo...e mi accusi che non ti considero, che non ti vedo, non ti senti coccolata come all’inizio, quando ci eravamo appena conosciuti.
E allora faccio questo sforzo di dirti quel che sento.
Sono credibile? Ti vedo un po’ incerta...mi chiedo se tu mi creda o no. Dico talmente di rado quel che penso di te, anzi, quel che sento quando mi stai accanto, che quando esce qualcosa dalle mie labbra al riguardo ho subito il timore di aver detto una frase goffa, una stronzata, ho paura di offenderti perchè magari la mia faccia non è espressiva, il mio corpo non è proteso verso di te come ti aspetteresti, il mio sguardo non riesce ad incontrare il tuo. E soprattutto ho un dubbio, un atroce dubbio: che tu non mi creda. E’ davvero brutto quando provi a dire una cosa tua, profondamente tua, intimamente legata al battito del tuo cuore, a darle un nome, a trasformarla in lettere, e con le lettere in qualche parola degna di questo nome...e...e chi riceve, chi sta dall’altra parte, a raccogliere il tuo messaggio, così difficilmente partorito, non lo accoglie, lo denigra, lo mette in dubbio, o addirittura lo rifiuta. Dire “ti amo”, e non essere creduti è peggio che dire “ti amo” e non essere ricambiati dello stesso amore.
Se tu non mi dovessi credere potrebbe essere un po’ anche colpa mia, che non ti ho abituata ad ascoltare parole del genere uscire dalla mia bocca. Sarò diventato così freddo in tutti questi anni, così superficiale da ridurti a non aspettarti che sciocchezze da me? Spero di no.
Ma il dubbio ce l’ho.
Se penso alle ultime volte in cui ti ho corteggiata e dimostrato il mio amore, arrossisco dall’imbarazzo. Mi sento un po’ in colpa. Mi sento un verme. Un opportunista. Anche se non ho il coraggio di ammetterlo, quando mi accusi di esserlo, in uno dei nostri litigi.
Lo sai bene che le cose cambiano con il tempo, tu stessa non sei più la solita di 20 anni fa. Sei diversa, sei più complicata, mi guardi con occhi diversi, a volte hai degli sguardi che proprio non capisco, mi riesce difficile anche approvarli. A volte mi sembra che non mi guardi proprio, che guardi altrove...e chissà se addirittura ti stai interessando a qualun altro.
Hai ragione, io non ti ricopro sempre delle attenzioni che meriti, ma anche tu...non è che sei una santa. I primi tempi eri sempre sorridente, mi coccolavi, mi dicevi le cose sottovoce, eri calma, sicura di te, tutto quello che facevo per te era una grande novità, applaudivi ad ogni mio gesto, ed io mi stupivo del tuo stupore. Avevi voglia di conoscermi, anche se io ero un po’ schivo, per carattere, anche se non avevo le parole per dirlo, tu sembravi accettarmi, e a volte anticipavi i miei bisogni, le mie richieste verso di te.
Poi non so cosa sia successo. Via via siamo diventati adulti, le cose sono diventate più difficili, ed è come se ci fossimo avvicinati ed allontanati al contempo.
Ci sono momenti in cui ti sento molto vicina, in maniera diversa rispetto anche solo a qualche anno fa, ma vedo nei tuoi occhi, sul tuo volto, la fatica di chi nonostante tutto trova piacevole e rigenerante potermi stare vicino a qualcuno. Vedo la tua faccia affaticata o distratta, ma colgo in certe espressioni la benevolenza di una madre, la certezza di una compagna, e la speranza di una guida.
Altre volte mi chiedo dove sei.
Sparisci completamente, per giorni interi, non ti fai sentire, mi eviti, come se fossi un cane, come se non ci fossimo mai conosciuti prima. Come se tanti anni insieme d’improvviso non fossero valsi a niente. E li ti odio, ti odio come solo te posso odiare.
A volte, piango quando te ne vai. Sono gli unici momenti in cui riesco a farlo. Soffro per un sacco di cose, ma quando tu mi lasci da solo, senza un preavviso, senza dirmi quando torni, li davvero non riesco a trattenermi. E’ qualcosa di simile alla disperazione, un’angoscia profonda mi prende, sento di non avere improvvisamente più niente. Non un briciolo di speranza, non un domani a cui aggrapparmi.
Soffro da solo, ed è difficile parlarne a qualcuno che non sia tu. Ma anche con te non ne parlo praticamente mai. Ho paura che ti irriti, che mi senti appiccicato a te, che ti stufi, e che allora mi respingi, per non sentir ragioni, per non sentirti col fiato sul collo.
E’ capitato, qualche volta, soprattutto in questi ultimi tempi, che mi hai lasciato da solo, per un po’, ed ho provato a confidare il mio dolore a qualcuno. Per lo più mi ha fatto bene, ma ancora mi resta difficile condividere qualcosa che mi blocca e non mi va di conoscere fino in fondo, qualcosa che davvero può capire solo chi lo prova, o, al limite, chi lo ha già provato. Parlarne con qualcuno alla fine serve più a me che a quel qualcuno, mi ci è voluto un po’ a capirlo, ma credo che questo mi aiuti a fregarmene se l’amico di turno mi ascolta o no.
Parlare con te dell’angoscia che mi dai quando stai via per qualche giorno non è facile, ed ho paura che ti senti in colpa. Ti prego...non farlo...cerca di capire che se ti parlo del mio dolore non è per convincerti a tutti i costi a rimanere. Ma è perchè provo dolore, tanto dolore, e non so come gestirlo...non so che farci...in fin dei conti sei la mia più grande amica, tu sai tutto di me, siamo stati amanti, compagni di giochi, abbiamo sofferto insieme un sacco di volte e gioito delle grandi avventure che ci hanno coinvolto . E non dirti questo mio stato mi sembra quasi un venire meno ad una confidenza che ci anima da sempre.
Quando te ne vai perdo molte delle mie forze, piango, e, a volte, dopo, sto meglio.
Quando torni sei sempre così entusiasta, sei esuberante...ho come la sensazione che hai ancora la testa da un’altra parte, e non fai che vomitarmi in faccia tutte le cose belle che hai fatto e le splendide sensazioni provate in mia assenza. Sei sadica. Poi mi dai un regalino, uno di quelli che ogni tanto compri, per me, quando sei in viaggio. Sadica e discretamente romantica. Non hanno l’aria di essere regalini d’aereoporto, o d’autogrill. Almeno questo no. Piano piano torni con la testa e con il cuore lì, di fronte a me, ed io lascio scorrere l’incazzatura, il dolore, fino a toccare quel fondo di amore che ho per te. Ci abbracciamo, iniziamo a carezzarci, e, quasi senza volerlo, ma in verità volendolo più d’ogni altra cosa...facciamo l’amore.
E lì ci abbandoniamo, completamente, in un misto di gioia profonda e angoscia esistenziale, il dolore diventa grido, l’amore diventa respiro, la passione dell’uno per l’altro diventa l’unica luce che anima i nostri corpi, e finiamo per amarci come non riusciremmo mai ad amare nessun altro.
Dormire insieme, accoccolati in un letto un po’ sfatto, è la naturale conseguenza di questo  gesto imprevedibile ma...prevedibile, ogni volta che ci separiamo e poi torniamo insieme.
Soffro così tanto quando sei via, che la gioia per il tuo ritorno è quasi incontrollabile...per forza deve uscire, e quello, forse, è l’unico momento, fra i tanti che trascorriamo insieme, in cui le parole non bastano, anzi, non occorrono, come se tu capissi dal mio corpo quel che ho da dirti, e tu con il tuo rivelassi la gioia di essere di nuovo lì con me.
Si rinnova un contratto, la nostra voglia di stare insieme, di affrontare altre battaglie, che, immancabilmente, al risveglio, busseranno alla nostra porta.
Ti amo. Dirtelo mi fa bene, e forse fa bene anche ai tuoi occhi.
Ci sono momenti in cui ti vedo sola, ma non riesco a starti vicino. Bisognerebbe che ti parlassi, ti portassi in giro, magari a vedere posti nuovi, ma non ce la faccio, non abbiamo i soldi, o semplicemente non mi va di trovare il tempo. Convinto, magari, che tanto resti qui, con me.
Non lo so se mi tradisci, non lo voglio nemmeno sapere, ma mi rendo conto che potrei fare qualcosa per rendere i nostri momenti insieme più luminosi, più frizzanti, più...che ne so...vedi...anche ora non so come dire quel che ho in testa.
Sempre che sia lì quel che voglio dire...io mi perdo in questa scatola di ossa, mi ci perdo spesso...tu ogni tanto me la prendi fra le tue morbide mani e mi dici a denti stretti “esci da questo corpo!”. E ci mettiamo a ridere. Però non hai tutti i torti.
La mia testa è la cosa per cui ti sei innamorata di me, così mi dicesti una volta, ma io spero che non ti sia innamorata solo di quello, se no stiamo messi male. Ho bisogno di sentire amato anche tutto il resto, per poterlo considerare io stesso. Forse dovrei amarlo io per primo, ma non sempre ci riesco. Quando voglio fare il romantico con te non so mai se è una cosa che sento o che penso. Non so mai se è la mia pancia a dirmelo o la mia testa. Credo c’entrino tutte e due, ma che fra di loro ci sia una sorta di dialogo di merda. Come se la testa si accorgesse vagamente di quello che accade nella pancia, e poi cercasse di proportene una sintesi con un linguaggio tutto suo, solitamente asettico, sgarbato, per niente poetico, se  non addirittura insignificante. Bisognerebbe avere una bocca sulla pancia e una sulla testa, così ognuno dice quel che vuole, con parole proprie.

Ti devo confessare una cosa: l’altro giorno, dopo il nostro ennesimo litigio, avevo deciso di lasciarti.
Questa volta ero io a volermene andare. Non so che effetto ti farà questa cosa, ma te la dico.
Per la prima volta non ero nè incazzato nè addolorato con te. Il litigio era ormai una cosa passata, non m’importava più di avere ragione.
Per la prima volta ho desiderato lasciarti mentre dormivi, per uscire in punti di piedi, senza un preavviso, senza dirti dove stessi andando.
Mi sono vestito in silenzio, ho preso il cappotto, e sono uscito per le scale, senza voltarmi un attimo a vedere quel che facevi. Dormivi. Quando sono arrivato in strada ho avuto un attimo di smarrimento. Mi son chiesto che stessi facendo. Sembrava un piccolo grande gioco proibito. Un po’ come quelli che si fanno da piccoli di nascosto dalla mamma. Ma avevo la netta sensazione che fosse qualcosa di più. Ero incerto, ma anche sempre più convinto che quello spazio, quei primi passi, non così lontani da te, ma per una volta senza di te, mi piacevano, mi nutrivano, mi facevano quasi star bene.
Sentivo in bocca uno strano sapore, dolce-amaro, gradevole e sgradevole al contempo. Però non mi sono fermato, nè mi andava di farlo. Per la prima volta, dopo anni, ho respirato a pieni polmoni.
Ti ricordi che ti dicevo di avere il petto compresso, di non riuscire a respirare con naturalezza?
L’altro giorno non era così. Respiravo smog, niente di speciale, ma mi sembrava che respirasse tutto il corpo.
Per un po’ pensavo a te, mi chiedevo se ti fossi svegliata o se stessi ancora dormendo. Che faccia avresti fatto al risveglio, senza trovarmi lì, accanto a te? Non sentivo di averti fatto un dispetto, questa era la cosa strana. Altre volte me ne sono andato, ma di solito succedeva subito dopo un litigio, sbattevo la porta, te mi urlavi dietro, io ti mandavo a quel paese, facevo un giro, magari anche di un paio d’ore, e poi tornavo. E la strategia della ripicca continuava al rientro, come due bambini.
Ci piaceva così, e credo ci piaccia ancora, sotto sotto.
L’altro giorno però non ero lì, per strada per farti un dispetto. Ero lì per me, ero lì per guardare il mondo coi miei occhi, senza per forza doverti raccontare tutto quello che ho visto.
Ad un certo punto entro in un bar, mi siedo e ordino un cappuccino ed una brioche. Erano già le 11, ma avevo fame. Mentre aspettavo di essere servito nel bar è entrata una persona.
Una donna.
Una donna che conosci anche tu. Di solito quando la incontro e ci sei anche tu poi mi fai le battutine perchè pensi che mi piaccia, dici che sono imbarazzato di fronte a lei, e che lei sotto sotto ci prova con me.
Mi ha visto e si è seduta lì, con me. Si stupiva del fatto che io fossi solo, mi ha chiesto di te, ma sono stato evasivo, mi scoccia la gente che si impiccia con l’intenzione di farlo. Allora abbiamo iniziato a parlare di altro. Mentre lei parlava i miei orecchi si sono sintonizzati sulle sue emissioni vocali, come una radio che si sintonizza su un canale e ne riporta i suoni. Ma il resto non badava ai suoni. Badava alla musica di quella donna, ad una serie di sensazioni che via via mi faceva emergere. Mi distraevo a guardarle le labbra, le mani, davvero belle, i seni, che si intravedevano dalla maglietta. Per un attimo mi sono sentito tremendamente attratto da lei, fino quasi a temere che lei stessa se ne accorgesse.
Quando mi sono reso conto di quello che stava accadendo, e soprattutto che non avevo capito un bel niente di tutto il suo racconto, mi sono come risvegliato, bruscamente, mi sono alzato, ho preso il cappotto, le ho dato un bacio in fronte, ho pagato il conto, e sono uscito dal bar, correndo più veloce che potevo verso casa, fra lo stupore suo e...del barista!
Ho salito le scale due alla volta, sono rientrato non proprio in punta di piedi, ho mollato tutto sul divano, scarpe comprese, e mi sono infilato nel letto, nudo, accanto a te, nuda come solo tu sai essere, che ancora eri avvolta in un morbido sonno. Mi sono avvicinato a te, tu ti sei voltata, mi hai fatto un sorriso, mi hai abbracciato, e ti sei riaddormentata.
Ed io con te.
Ti amo, insomma.
Ti amo al punto da odiarti più di ogni altra cosa. Ti amo perchè ora riesco a dirtelo, e dirtelo mi fa sembrare che ti amo ancora di più.
Ti amo come una volta, forse più di una volta, perchè il mio amore si sta trasformando da una gabbia per due, ad un viaggio.
Ti amo perchè so che mi ami, e spessi non mi chiedi di amarti di più.
Ti amo perchè sei stronza e imprevedibile.  Ti amo perchè io senza di te non sarei di meno, ma sarei diverso. Mentre con te non sono un libro di storia, ma lo scrittore che scrive il libro.
Alla fine ti amo senza un vero perchè, anche se mi affanno a elencarne dentro di me. Credo che amarti mi serva, a respirare, fino in fondo, come l’altro giorno, tanto che per un attimo non c’eri più tu, e ti ho amata di più.

Lo so, le mie lettere possono migliorare.
Ma erano anni che non ti scrivevo. Erano anni che non trovavo parole messe lì, un po’ malamente, per raccontarti questo corpo, prima di doverne uscire.
Oggi ho preferito scriverti, invece di andarmene a fare due passi, come l’altro giorno. Fa freddo fuori, e stare qui, nella stanza accanto, a scrivere a te di noi, è come passeggiare in un prato e dialogare con il cielo. Chissà se avrò il coraggio di dartela questa lettera, ma almeno l’ho scritta, è già un passo avanti.
Ora torno nel letto...ho parlato così tanto di te, che ora ti devo stringere.
E siccome, se avrò il coraggio, ti darò questo scritto al tuo risveglio, concludo augurandoti, di cuore, il buongiorno, mia dolce, splendida, affascinante Vita.

 Scritto dal mio docente , dott, michele galgani

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