martedì 27 settembre 2011

adozione

Sono molte le parole che possono aiutarci a parlare di adozione: abbandono, amore, attaccamento, attesa, e tutte iniziano con la A. Sono così tante che se ne può fare un dizionario.
Molte delle voci sono dedicate ad approfondire i "bisogni" dei bambini adottati, così come i loro diritti, primo fra tutti quello ad un pieno e felice inserimento familiare e sociale. Un'occasione per entrambi i genitori per ritrovarsi e affrontare i piccoli grandi dubbi della vita di tutti i giorni.
Il problema dell'adozione, sempre più presente ed enfatizzato dai mezzi di comunicazione, anche sull'onda dell'emotività, resta una realtà carica di interrogativi. Che cosa significa essere genitore adottivo? È sufficiente desiderare un bambino e volergli bene per risolvere tutti i problemi? La legislazione attuale è adeguata in proposito? Le autrici riflettono su queste e altre questioni in un'ottica psicodinamica, ponendosi "dalla parte degli adulti", gli aspiranti genitori: infatti essere veramente "dalla parte del bambino" implica aiutare gli adulti a ricercare dentro di sé i significati profondi legati alla mancanza e al desiderio di un figlio. Non vengono peraltro trascurate "la voce e l'esperienza" del bambino abbandonato, attraverso l'analisi del materiale clinico che sottolinea il faticoso processo di crescita dall'infanzia all'adolescenza nella nuova famiglia.

Le prime crisi del bambino adottivo

Nonostante oggi non si nasconda più ai figli adottivi la loro origine, questo non significa proteggerli dal dolore e da un trauma. L’ingresso nell’età adolescenziale vede intrecciarsi la turbolenza emotiva di questa fase evolutiva con la specificità della condizione adottiva. Ciò rischia di acuire i conflitti tipici dell’età. Questo rischio dipende dalla relazione che si è andata strutturando nella famiglia negli anni precedenti.
Il processo di separazione dai genitori appare più conflittuale per gli adolescenti adottati se il passato non è stato sufficientemente elaborato, a livello intrapsichico e all’interno della relazione famigliare.
I ragazzi pensano di essere stati abbandonati perché diversi e indegni d’amore. Sanno di essere nati in condizioni degradate, di provenire dalla parte povera del mondo, ma per loro la più grande ferita è essere stai lasciati, anche se questo gli ha permesso una vita migliore.
Anche i genitori adottivi hanno alle spalle traumi dolorosi: la sterilità. Per questo motivo la via di uscita è cercare di far incontrare i due dolori, di comunicarseli a vicenda, in modo che scontri e conflitti apparentemente inevitabili possano essere elaborati insieme.
L’errore più grande è quando i genitori si offendono perché il figlio mette in evidenza il fatto di non essere nato da loro. Padri e madri devono far capire che anche loro hanno sofferto per non essere stati capaci di generare un figlio, ma che hanno trovato in lui proprio quello che desideravano.
A volte i figli adottivi vivono periodi in cui divengono aggressivi, hanno problemi a scuola e comportamenti antisociali.
Tutto questo non deve essere accettato come tale: bisogna cercare le ragioni per cui questi atteggiamenti si manifestano. È importante il dialogo, ascoltare i dubbi e accettare quella parte di vita precedente all’incontro con i genitori adottivi, che seppur breve e piccola, ha rappresentato una grossa ferita.
L’idea dei genitori naturali deve essere presente sia nei figli sia nei genitori adottivi affinché si possa costruire una storia di vita affettiva mentale comune.
Qualche volta sono sufficienti comprensione e tempo per cicatrizzare le ferite. Altre è necessario l’aiuto di uno specialista.

Consigli utili per i genitori adottivi nel rapporto con il bambino adottato

È fondamentale in una situazione adottiva parlare sempre chiaramente, tirare fuori i propri sentimenti e sensazioni.
Il bambino deve sentirsi libero di esprimersi anche se sa che questo può provocare tristezza e sensi di inadeguatezza nei genitori.
Un percorso di psicoterapia nell’infanzia e adolescenza può essere molto utile al figlio adottivo per chiarire eventuali carenze affettive subite e ricostruire con una terza persona (lo psicoterapeuta) il proprio vissuto. L’elaborazione del trauma è fondamentale per crescere.
Per i genitori adottivi vengono organizzati gruppi condotti da psicologi, in cui le famiglie adottive condividono esperienze e problematiche e non lasciano sola la coppia che affronta questo delicato cammino.
A volte non sono sufficienti l’amore e la volontà, perché i problemi possono essere grossi e ingestibili. Con il supporto e la preparazione giusta, l’adozione può trasformarsi in un’esperienza unica e meravigliosa, che regala immense gioie e felicità. f igure  che si occupano di lui.

Questa naturale interazione bambino-adulto è alla base della costruzione del legame di attaccamento. L’assenza di relazioni affettive sane, di stimolazioni sensoriali e tattili, provocano un rallentamento dello sviluppo psicomotorio in parte accentuato a seconda del modo di reazione del bambino a tali deprivazioni.
E’ fondamentale che la coppia sappia che il bambino che incontrerà ha dei bisogni da soddisfare:
§                 ha bisogno di essere accettato e benvoluto nonostante il suo comportamento negativo
§                 ha bisogno di essere smentito dalla convinzione che lui è cattivo e che, pertanto, merita di essere punito
§                 ha bisogno di essere amato e soprattutto di non subire un nuovo abbandono
L’adozione è un atto d’amore che richiede una grande capacità di donarsi e non la soddisfazione di un bisogno di essere genitore a tutti i costi.
L’adozione ha, infatti, successo solo se il bisogno della coppia si trasforma in forte e sincero desiderio di dare amore.
io ne so qualcosa , chi vi parla non è solo una terapeuta ma una donna figlia adottata

Rita Maione: Essere genitori adottivi un compito difficile e no...

Rita Maione: Essere genitori adottivi
un compito difficile e no...
: Essere genitori adottivi un compito difficile e non privo di problematiche psicologiche ed ostacoli Negli ultimi tempi si sente parlare sem...

Preparazione della coppia adottiva

È fondamentale che la coppia acquisisca, durante il percorso adottivo, la consapevolezza delle esigenze e dei bisogni di un bambino istituzionalizzato, del suo vissuto, della sua storia e delle problematiche che incontrerà nella costruzione di un legame, staccandosi dal bambino immaginario fino allora costruito nella mente.
Se ciò non avviene l’incontro rischierà di essere fallimentare perché non conforme a quelle che sono le proprie aspettative e in contrasto con le reali esigenze del futuro figlio.Il bambino non ha il dovere di soddisfare e colmare i bisogni degli adulti ma ha il diritto ad avere una famiglia, di essere amato ed accettato nella sua diversità biologica, somatica e culturale.
I genitori adottivi devono avere una preparazione adeguata e forte sensibilità e maturità per accogliere e rispettare un bambino non solo con caratteristiche somatiche evidentemente diverse dalle proprie ma portatore di una cultura distante dalla nostra, che va rispettata e continuata per dare dignità alle sue radici. Se il bambino non si sente accettato dalla coppia genitoriale, se avverte un distacco, se si sente “un diverso” non riuscirà mai a instaurare una sana relazione con loro e non si svilupperà mai in modo armonico ed equilibrato.
Un primo tradimento che la coppia fa al bambino è il cambio del nome, che è il primo segno di riconoscimento e di esistenza, come se volesse cancellare il passato del proprio figlio, un passato scomodo, da dimenticare, che, invece, va rispettato ed integrato in una sorta di patto adottivo. Un motivo per cui le leggi straniere prevedono per le coppie dei lunghi soggiorni nel Paese di origine è perché possano conoscere direttamente il contesto dove è cresciuto il futuro figlio ed assimilare le sue abitudini (alimentari, relazionali, climatiche), comprenderle, rispettarle e riproporgliele successivamente nel nuovo nucleo adottivo. In questo modo il bambino si sente accettato nella sua individualità e non deve adattarsi a richieste che per lui sono estranee e difficilmente comprensibili.
L’adattamento, infatti, da parte del bambino ad un contesto non accogliente e a delle rigide aspettative della coppia, può far sviluppare un “falso sé”. Compito dei genitori è dare continuità all’identità del bambino, sostenerlo nella fase di elaborazione del suo triste vissuto per evitare che ci siano fratture tra il suo passato, il presente ed il futuro.
Spesso i bambini adottivi sono portatori situazioni di abbandono, di solitudine, talvolta di maltrattamento fisico e psicologico; sono bambini traditi dalla vita. Le figure adulte che dovevano soddisfare i loro bisogni fisici e di protezione gli hanno inflitto un messaggio forte di rifiuto, di non esistenza e non riconoscimento. Sono bambini che non hanno sviluppato un legame di attaccamento sicuro così come è necessario per una sana ed armonica crescita della personalità.
Il bambino abbandonato presenta sempre un ritardo nello sviluppo psico-fisico perché fin dalla nascita si necessita delle cure individuali e personalizzate; se ogni bisogno fisiologico (fame, sete, ecc.) e affettivo (contatto fisico, visivo, coccole ecc.) è prontamente soddisfatto, il bambino sperimenta dapprima la continuità nella soddisfazione dei suoi bisogni e poi l’affidabilità nei confronti delle figure adulte che si occupano di lui.
Questa naturale interazione bambino-adulto è alla base della costruzione del legame di attaccamento. L’assenza di relazioni affettive sane, di stimolazioni sensoriali e tattili, provocano un rallentamento dello sviluppo psicomotorio in parte accentuato a seconda del modo di reazione del bambino a tali deprivazioni.
E’ fondamentale che la coppia sappia che il bambino che incontrerà ha dei bisogni da soddisfare:
§                 ha bisogno di essere accettato e benvoluto nonostante il suo comportamento negativo
§                 ha bisogno di essere smentito dalla convinzione che lui è cattivo e che, pertanto, merita di essere punito
§                 ha bisogno di essere amato e soprattutto di non subire un nuovo abbandono
L’adozione è un atto d’amore che richiede una grande capacità di donarsi e non la soddisfazione di un bisogno di essere genitore a tutti i costi.
L’adozione ha, infatti, successo solo se il bisogno della coppia si trasforma in forte e sincero desiderio di dare amore.

Essere genitori adottivi
un compito difficile e non privo di problematiche psicologiche ed ostacoli

Negli ultimi tempi si sente parlare sempre più d’adozione e dei problemi legati a questa scelta. Che cosa significa essere genitore adottivo? È sufficiente desiderare un bambino e volergli bene per tutta la vita per risolvere i problemi? Purtroppo non sono sufficienti affetto e cure perché si ha a che fare con problematiche diverse rispetto alla genitorialità naturale. Per prima cosa l’adozione è una vicenda diversa dalla “normale” procreazione, perché prima di essere adottati tutti i bambini vivono esperienze di separazione, perdita e abbandono.
Si tratta di momenti che fanno sentire il bambino “incompleto” e portano a relazioni e comportamenti comunemente definibili di afflizione. Un bambino necessita fin dalla nascita del contatto con il corpo della madre, strumento indispensabile per il piccolo al quale viene in questo modo offerta la possibilità di superare le paure e porre nel suo interno l’oggetto buono, fulcro di sicurezza e fiducia.
Il bambino per crescere come persona autonoma e acquisire sicurezza, ha bisogno di veder soddisfatti due bisogni: sentirsi amato e protetto dai genitori e sentirsi incoraggiato a differenziarsi come persona autonoma. L’amore è per il bambino un bisogno principale e la sua mancanza provoca cicatrici che si riescono a superare solo con duri sforzi. Le esperienze dolorose e le carenze affettive hanno una forte incidenza sul bambino. Le conseguenze immediatamente riscontrabili e più frequenti sono:
§                 Tratti depressivi con sensi di colpa
§                 Cattiva capacità a controllare le tensioni
§                 Grande fragilità emotiva
§                 Profonda sfiducia in sé e negli altri
Per questo nel bambino adottato sono abbastanza frequenti crisi d’identità, difficoltà di apprendimento, manifestazioni fobiche, tendenza all’isolamento; le difficoltà aumentano ancora di più se il passaggio da un ambiente all’altro comporta anche un cambiamento socioculturale o etnico, quando cioè si possono cogliere differenze nei tratti somatici.
Il genitore adottivo deve essere sempre pronto a fronteggiare questi problemi rassicurando, valorizzando e confermando il proprio amore. Una disponibilità costante permetterà al bambino di accettare la realtà, lo aiuterà a trovare più facilmente gli oggetti d’amore. I genitori devono ricordare che quando il bambino arriva in famiglia, qualunque sia la sua età, porta con sé un bagaglio fatto di ricordi, vissuti ed emozioni.
Nel minore c’è un prima, solitamente doloroso, privo di affetto e cure che spesso è rimosso per difendersi, e un dopo cioè la nuova vita. Proprio questa scansione determina l’abbandono. Un bambino adottivo sarà molto diverso da noi, e bisogna fare di questa diversità un punto di forza; accettare le sue origini, cultura e paese di provenienza.

giovedì 15 settembre 2011

mie Citazioni preferite




“Se l’adolescenza è un angolo,
la vita vera sta su un palco
dove forse proprio chi non si sente
in diritto di salire ne avrebbe il dovere.


”Io sono io.
Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa.
Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sara' bellissimo, altrimenti non ci sara' stato niente da fare.
Fritz Perls

- "sarò con te. Sarò con te con il mio interesse, la mia noia, la mia pazienza, la mia rabbia, la mia disponibilità. Sarò con te [...] ma non ti posso aiutare. Sarò con te. Tu farai quello che riterrai necessario".

-"assumersi responsabilità per un altro, interferire con la sua vita e sentirsi onnipotenti sono la stessa cosa" .
Fritz Perls

Non dobbiamo mai giudicare la vita degli altri, perché ciascuno conosce il proprio dolore e la propria rinuncia. Una cosa è pensare di essere sulla strada giusta, ma tutt’altra è credere che la tua strada sia l’unica. (P. COELHO)

E' necessario correre dei rischi ...
riusciamo a comprendere il miracolo della vita solo quando
lasciamo che l'inatteso accada (P. COELHO)

Sembra che tutti abbiano l'idea esatta di come vivere la nostra vita. E non sanno mai come devono vivere la loro. (P. COELHO)

mercoledì 7 settembre 2011

l identità


“Se le persone non riescono ad interrogarsi a fondo per ridefinire costantemente la propria  identità e costruire in maniera creativa la propria esistenza.
 Allora corrono il grande rischio di rifugiarsi in una sorta di; feticcio di identità;”
mi piace dire che la persona è il prender corpo dello spirito- essenza che ha importanza nella realtà, unica e riconoscibile rappresentabile - ripresentabile anche all’altro al mondo, oltre lo spazio, nei diversi linguaggi forme , suoni , segni ,movimenti , energie –colori, come sound( base) della persona.
Questa condensazione emo – tono-fonica tripartitica è la storia dell’ individuo, diviso in tre parti ;emozioni, corpo , suoni,che riconducono ai processi di scarica e  carica dell’ energia vitale. L’esperienze musicali più comuni, radicate nel corpo(melodia, ritmo, saund ) la sua esistenza  che è attraversamento soggettivo di fasi della crescita , come passaggi geneticamente  emozionalmente predisposti, contrastanti, di un corpo sentito per la realizzazione dei suoi potenziali umani.
Potenziali umani comuni a tutti gli esseri umani,in qualunque condizione fisio-psicologica e culturale; bambino, diversamente abile , malato, artista  sono i soggetti in cui  i potenziali umani 

si manifestano  di per se  con maggiore immediatezza ed evidenza , perché meno condizionati da culture o da interessi individuali. La vita è un valore primo assoluto, dal concepimento in poi in qualunque condizione psico-fisica.

È quindi amore e meraviglia per la vita , fede nei potenziali umani, fede nell’uomo.
Arte di vivere,che non s’ impara,si sa, perché fondata su una innata sapienza del corpo, che ha inscritto in sé le leggi della sopravvivenza e della crescita
 .

Non solo allora lo spirito prende corpo-forma ma vale soprattutto il processo di conformazione come risultato dello scambio comunicativo con l’ambiente sociale. La persona è suscitata   dall’appello vitale  alla testimonianza  con il proprio vissuto in quanto in con-formazione  con la società e la storia
L’ iter evolutivo della persona  si svolge  attraverso fasi  di sviluppo graduali che  si  organizzano attorno alle caratteristiche; fisico – psicologico – affettivo – storico – sociali- etico -morali dell’individuo.

Niente può essere anticipato ; si conosce la vita  e si costruisce la personalità a poco a poco, poiché le  trasformazioni bio - psicologiche si manifestano lentamente attraverso l evoluzione .

E da nascita alla personalità dell’essere umano ,che è l’insieme  delle caratteristiche individuali in  sintonia - sincronia-sinfonia  con gli altri essere viventi e con il mondo esterno.

l’identità personale indica la capacità degli individui di aver coscienza di permanere se stessi attraverso il tempo e attraverso tutte le fratture dell’esperienza. L’identità personale implica la percezione di una fragilità della coscienza e di una serie di discontinuità che devono essere metabolizzate. È quindi il tempo. È però  importante anche ricordare che la massa è composta da una varietà di individui, ognuno è sottoposto da emozioni contrastanti e in competizione tra loro:ottimismo e pessimismo ;timore e speranza che possono presentarsi in diversi
momenti nello stesso soggetto oppure in diversi modi nello stesso momento. Operare  mediante la comunicazione
 È pertanto possibile che non tutti si comportano nello stesso modo……………
In ogni decisione l’obbiettivo primario è quello di dare un senso alla miriade di emozioni contrastanti,valutando anche la psicologia di gruppo.
Concludo dicendo che la diversità  è anche ,originalità,arte, come emersioni insolite, singolari eccezionali potenziali di ogni individuo, il piacere, la bellezza come stati ,esperienze, manifestazioni di ben- essere della realtà umana e cosmica: da vivere,riconoscere, promuovere in tutte le condizioni umane, nella convinzione che la bellezza salverà il mondo,promuovere l’ integrazione come sviluppo, crescita compimento della persona e del gruppo umano, che comporta senso di appartenenza, convivenza di tutti in condizione di parità, condivisione.

Principio opposto e incompatibile con quello della “competizione” che governa  la nostra società, e che  è invece incompatibile con  vari paradigmi di educazione , riabilitazione, sensibilizzazione,e terapia. Arte identità personale identità collettiva governata dal principio del sentire.
Il malato, il bambino e l’adulto tracciando tutta una serie di linguaggi, segni di carattere manipolativo con il corpo, col colore, con il suono, con la parola, scacciano tutte quelle sensazioni, quelle paure che portano a vivere la vita come una angoscia.
Il corpo diventa una comunicazione cosi fondamentale all’uomo che viene equiparata ai 4 elementi, alle energie fondamentali dell’acqua del fuoco, della terra, dell’aria. L’energia del buttar fuori e quindi di quanto il corpo tripartito muta rispetto ai cambiamenti di tutto il cosmo. E’ in questo la valenza del Micro-macro-cosmo. 
dott.sa rita maione

delirio


al senso di piacere , merito di quel calore e quella luce cromata e sfumata.

Sono giorni che il dentro di me cerca Me!.
Scavo, come una pala che entra in profondità nella sabbia, dorata, con granuli  fitti e misti ,
con  cromature sul bianco , giallo, giallo indaco, rosa, rosa corallo………………..
L’entrata di questa pala , inizialmente non avviene , è un solo contatto di sfioramenti, inizi di raschiamenti , ove non vi è un entrata profonda,  dove emergono i segni delle energie e della fatica dei due corpi,
Perché allora qualcosa mi frena?  cosa temo?
è paura del SENTIRE…?.!
Sentire cosa? In fondo stiamo parlando solo di un pala  e di sabbia……….. due elementi .
Perchè allora questi due elementi mi recano a me stessa?
Si…………!! Sento  quel contatto, quei raschiamenti, il rumore stridente della pala che affonda nella sabbia.
Ma se guardo quel ’immagine, ciò che mi  arriva  e ne vedo ,sono i due elementi ed una forte luce.
Energica, calda, accecante, che a volte si intravedono quelle iniziali cromature di quei bianchi di quei gialli, di quei rosa
Scavando mi portano anche
Sento una forte emozione, mista tra piacere e paura, paura del mistero che vi è dentro , o  a quel che vi è dietro a quel raschiamento.
Un non affidarmi
Ma osservando bene, attentamente , quel ’immagine mi riporta anche alla solarità di un’estate, con quella luce solare calda che illumina proietta la sua luce nella sabbia color rosa, bianco, giallo indaco
Quelle sfumature che si confondono tra bagliori terreni e bagliori marini,
rendendo mare e sabbia un tutt ’ uno.
Ma un tutt ’ uno non è.
Se metto a fuoco vedo gente che cammina sulla sabbia, gente distesa che prende il sole, bambini che giocano con la sabbia con la “paletta” secchiello e fanno i castelli di sabbia…………
Gente che nuota, bambini che giocano in acqua……..
Questo è il lato dell’immagine che mi reca, mi porta piacere, anche perché io adoro realmente stare a contatto con il sole e il mare, bagnarmi rilassarmi, sentire quei raggi di solo che mi inebriano di energia e carezzano coccolano il mio corpo e distende la mia mente..
Ma…………!!!!!!
Ma c’è un ma!.........!
che mi porta indietro , ad un immagine di quei elementi, sabbia,Colori, mare ,sole, energie,
Tremendiiiiiiiii……………!
 Che mi riportano a quel sentire non piacevole, mi portano a quel ‘ emozione
La  paura……!
Paura di sentire,  paura di raccontare il mio ricordare,le mie paure passate ma che ho dovuto viverle ingoiarle senza masticare e sentirne il gusto .
Gusto non c’era
Come non c’era il tempo per pensare al gusto di quell’istante.
Era amaro ,  velenoso , violento, il mio dolore.
Mi tocca alla pancia  al cuore ai miei canali lacrimali dei miei occhi.
Ciò che sento ora dentro d me?
Sento il freddo delle mie mani e del mio corpo che si  gela sin al cuore, e il respiro  lo sento vibrante……
Mi fermo.!!.....................................................


dott. ssa Rta Maione

La prima volta che……………..

La  prima volta che……………..

Questo esercizio- va fatto dando risposte rapide,istintive, senza”scervellarsi”troppo
Può esser fatto per iscritto, in gruppo, o da soli.
Ciascuno ascolta le risposte degli altri.
Si può scrivere ciò che si vuole, si può saltare una parte.


La prima vota che…

1-     ho fatto qualcosa  di importante per me

2-    Ho fatto qualcosa di importante per qualcuno


3-    Ho provato un dolore fortissimo


4-    Ho sentito la libertà


5-    Mi sono innamorato/a


6-    Ho avuto paura


7-    Ho scoperto l’ingiustizia


8-    Ho scoperto la bellezza


9-    Mi sono sentito/a felice


10-                      Ho visto qualcosa che mi ha impressionato/a


11-                      Ho scoperto l’esistenza del bene e del male


12-                      Ho fatto un viaggio(vicino o lontano)




scritto e ideato da dott.ssa Rita Maione

IO DIPENDO DA TE

IO DIPENDO DA TE
(sull’ aria di violino zigano)


FACCIO SCHIFO E PERCIò
HO BISOGNO DI AIUTO
IO DA SOLO /A  LO SO
INFELICE SARò
IN UN MONDO FOTTUTO


FACCIO SCHIFO ANCHE AME
MA TU MI DEVI AMARE
DEVIAMARMI perché
HO BISOGNO DI TE
COME UN PESCE DEL MARE


IO DIPENDO DA TE
FAMMI QUEL CHE TI PARE






Perché SENZA DI TE
NON C è ALTRO PER ME
                       CHE MORIRE O PUZZARE.




dot.ssa Rita Maione

ti amo

Ti amo



Ti amo.
Non so se te l’ho mai detto, ma ti amo. Alla fine mi son deciso. Ma è dura...mamma mia se è dura dirtelo. Sono anni che stiamo insieme, e mi accusi sempre di un sacco di cose. Ogni tanto ti girano, ultimamente poi...non ne parliamo...e mi accusi che non ti considero, che non ti vedo, non ti senti coccolata come all’inizio, quando ci eravamo appena conosciuti.
E allora faccio questo sforzo di dirti quel che sento.
Sono credibile? Ti vedo un po’ incerta...mi chiedo se tu mi creda o no. Dico talmente di rado quel che penso di te, anzi, quel che sento quando mi stai accanto, che quando esce qualcosa dalle mie labbra al riguardo ho subito il timore di aver detto una frase goffa, una stronzata, ho paura di offenderti perchè magari la mia faccia non è espressiva, il mio corpo non è proteso verso di te come ti aspetteresti, il mio sguardo non riesce ad incontrare il tuo. E soprattutto ho un dubbio, un atroce dubbio: che tu non mi creda. E’ davvero brutto quando provi a dire una cosa tua, profondamente tua, intimamente legata al battito del tuo cuore, a darle un nome, a trasformarla in lettere, e con le lettere in qualche parola degna di questo nome...e...e chi riceve, chi sta dall’altra parte, a raccogliere il tuo messaggio, così difficilmente partorito, non lo accoglie, lo denigra, lo mette in dubbio, o addirittura lo rifiuta. Dire “ti amo”, e non essere creduti è peggio che dire “ti amo” e non essere ricambiati dello stesso amore.
Se tu non mi dovessi credere potrebbe essere un po’ anche colpa mia, che non ti ho abituata ad ascoltare parole del genere uscire dalla mia bocca. Sarò diventato così freddo in tutti questi anni, così superficiale da ridurti a non aspettarti che sciocchezze da me? Spero di no.
Ma il dubbio ce l’ho.
Se penso alle ultime volte in cui ti ho corteggiata e dimostrato il mio amore, arrossisco dall’imbarazzo. Mi sento un po’ in colpa. Mi sento un verme. Un opportunista. Anche se non ho il coraggio di ammetterlo, quando mi accusi di esserlo, in uno dei nostri litigi.
Lo sai bene che le cose cambiano con il tempo, tu stessa non sei più la solita di 20 anni fa. Sei diversa, sei più complicata, mi guardi con occhi diversi, a volte hai degli sguardi che proprio non capisco, mi riesce difficile anche approvarli. A volte mi sembra che non mi guardi proprio, che guardi altrove...e chissà se addirittura ti stai interessando a qualun altro.
Hai ragione, io non ti ricopro sempre delle attenzioni che meriti, ma anche tu...non è che sei una santa. I primi tempi eri sempre sorridente, mi coccolavi, mi dicevi le cose sottovoce, eri calma, sicura di te, tutto quello che facevo per te era una grande novità, applaudivi ad ogni mio gesto, ed io mi stupivo del tuo stupore. Avevi voglia di conoscermi, anche se io ero un po’ schivo, per carattere, anche se non avevo le parole per dirlo, tu sembravi accettarmi, e a volte anticipavi i miei bisogni, le mie richieste verso di te.
Poi non so cosa sia successo. Via via siamo diventati adulti, le cose sono diventate più difficili, ed è come se ci fossimo avvicinati ed allontanati al contempo.
Ci sono momenti in cui ti sento molto vicina, in maniera diversa rispetto anche solo a qualche anno fa, ma vedo nei tuoi occhi, sul tuo volto, la fatica di chi nonostante tutto trova piacevole e rigenerante potermi stare vicino a qualcuno. Vedo la tua faccia affaticata o distratta, ma colgo in certe espressioni la benevolenza di una madre, la certezza di una compagna, e la speranza di una guida.
Altre volte mi chiedo dove sei.
Sparisci completamente, per giorni interi, non ti fai sentire, mi eviti, come se fossi un cane, come se non ci fossimo mai conosciuti prima. Come se tanti anni insieme d’improvviso non fossero valsi a niente. E li ti odio, ti odio come solo te posso odiare.
A volte, piango quando te ne vai. Sono gli unici momenti in cui riesco a farlo. Soffro per un sacco di cose, ma quando tu mi lasci da solo, senza un preavviso, senza dirmi quando torni, li davvero non riesco a trattenermi. E’ qualcosa di simile alla disperazione, un’angoscia profonda mi prende, sento di non avere improvvisamente più niente. Non un briciolo di speranza, non un domani a cui aggrapparmi.
Soffro da solo, ed è difficile parlarne a qualcuno che non sia tu. Ma anche con te non ne parlo praticamente mai. Ho paura che ti irriti, che mi senti appiccicato a te, che ti stufi, e che allora mi respingi, per non sentir ragioni, per non sentirti col fiato sul collo.
E’ capitato, qualche volta, soprattutto in questi ultimi tempi, che mi hai lasciato da solo, per un po’, ed ho provato a confidare il mio dolore a qualcuno. Per lo più mi ha fatto bene, ma ancora mi resta difficile condividere qualcosa che mi blocca e non mi va di conoscere fino in fondo, qualcosa che davvero può capire solo chi lo prova, o, al limite, chi lo ha già provato. Parlarne con qualcuno alla fine serve più a me che a quel qualcuno, mi ci è voluto un po’ a capirlo, ma credo che questo mi aiuti a fregarmene se l’amico di turno mi ascolta o no.
Parlare con te dell’angoscia che mi dai quando stai via per qualche giorno non è facile, ed ho paura che ti senti in colpa. Ti prego...non farlo...cerca di capire che se ti parlo del mio dolore non è per convincerti a tutti i costi a rimanere. Ma è perchè provo dolore, tanto dolore, e non so come gestirlo...non so che farci...in fin dei conti sei la mia più grande amica, tu sai tutto di me, siamo stati amanti, compagni di giochi, abbiamo sofferto insieme un sacco di volte e gioito delle grandi avventure che ci hanno coinvolto . E non dirti questo mio stato mi sembra quasi un venire meno ad una confidenza che ci anima da sempre.
Quando te ne vai perdo molte delle mie forze, piango, e, a volte, dopo, sto meglio.
Quando torni sei sempre così entusiasta, sei esuberante...ho come la sensazione che hai ancora la testa da un’altra parte, e non fai che vomitarmi in faccia tutte le cose belle che hai fatto e le splendide sensazioni provate in mia assenza. Sei sadica. Poi mi dai un regalino, uno di quelli che ogni tanto compri, per me, quando sei in viaggio. Sadica e discretamente romantica. Non hanno l’aria di essere regalini d’aereoporto, o d’autogrill. Almeno questo no. Piano piano torni con la testa e con il cuore lì, di fronte a me, ed io lascio scorrere l’incazzatura, il dolore, fino a toccare quel fondo di amore che ho per te. Ci abbracciamo, iniziamo a carezzarci, e, quasi senza volerlo, ma in verità volendolo più d’ogni altra cosa...facciamo l’amore.
E lì ci abbandoniamo, completamente, in un misto di gioia profonda e angoscia esistenziale, il dolore diventa grido, l’amore diventa respiro, la passione dell’uno per l’altro diventa l’unica luce che anima i nostri corpi, e finiamo per amarci come non riusciremmo mai ad amare nessun altro.
Dormire insieme, accoccolati in un letto un po’ sfatto, è la naturale conseguenza di questo  gesto imprevedibile ma...prevedibile, ogni volta che ci separiamo e poi torniamo insieme.
Soffro così tanto quando sei via, che la gioia per il tuo ritorno è quasi incontrollabile...per forza deve uscire, e quello, forse, è l’unico momento, fra i tanti che trascorriamo insieme, in cui le parole non bastano, anzi, non occorrono, come se tu capissi dal mio corpo quel che ho da dirti, e tu con il tuo rivelassi la gioia di essere di nuovo lì con me.
Si rinnova un contratto, la nostra voglia di stare insieme, di affrontare altre battaglie, che, immancabilmente, al risveglio, busseranno alla nostra porta.
Ti amo. Dirtelo mi fa bene, e forse fa bene anche ai tuoi occhi.
Ci sono momenti in cui ti vedo sola, ma non riesco a starti vicino. Bisognerebbe che ti parlassi, ti portassi in giro, magari a vedere posti nuovi, ma non ce la faccio, non abbiamo i soldi, o semplicemente non mi va di trovare il tempo. Convinto, magari, che tanto resti qui, con me.
Non lo so se mi tradisci, non lo voglio nemmeno sapere, ma mi rendo conto che potrei fare qualcosa per rendere i nostri momenti insieme più luminosi, più frizzanti, più...che ne so...vedi...anche ora non so come dire quel che ho in testa.
Sempre che sia lì quel che voglio dire...io mi perdo in questa scatola di ossa, mi ci perdo spesso...tu ogni tanto me la prendi fra le tue morbide mani e mi dici a denti stretti “esci da questo corpo!”. E ci mettiamo a ridere. Però non hai tutti i torti.
La mia testa è la cosa per cui ti sei innamorata di me, così mi dicesti una volta, ma io spero che non ti sia innamorata solo di quello, se no stiamo messi male. Ho bisogno di sentire amato anche tutto il resto, per poterlo considerare io stesso. Forse dovrei amarlo io per primo, ma non sempre ci riesco. Quando voglio fare il romantico con te non so mai se è una cosa che sento o che penso. Non so mai se è la mia pancia a dirmelo o la mia testa. Credo c’entrino tutte e due, ma che fra di loro ci sia una sorta di dialogo di merda. Come se la testa si accorgesse vagamente di quello che accade nella pancia, e poi cercasse di proportene una sintesi con un linguaggio tutto suo, solitamente asettico, sgarbato, per niente poetico, se  non addirittura insignificante. Bisognerebbe avere una bocca sulla pancia e una sulla testa, così ognuno dice quel che vuole, con parole proprie.

Ti devo confessare una cosa: l’altro giorno, dopo il nostro ennesimo litigio, avevo deciso di lasciarti.
Questa volta ero io a volermene andare. Non so che effetto ti farà questa cosa, ma te la dico.
Per la prima volta non ero nè incazzato nè addolorato con te. Il litigio era ormai una cosa passata, non m’importava più di avere ragione.
Per la prima volta ho desiderato lasciarti mentre dormivi, per uscire in punti di piedi, senza un preavviso, senza dirti dove stessi andando.
Mi sono vestito in silenzio, ho preso il cappotto, e sono uscito per le scale, senza voltarmi un attimo a vedere quel che facevi. Dormivi. Quando sono arrivato in strada ho avuto un attimo di smarrimento. Mi son chiesto che stessi facendo. Sembrava un piccolo grande gioco proibito. Un po’ come quelli che si fanno da piccoli di nascosto dalla mamma. Ma avevo la netta sensazione che fosse qualcosa di più. Ero incerto, ma anche sempre più convinto che quello spazio, quei primi passi, non così lontani da te, ma per una volta senza di te, mi piacevano, mi nutrivano, mi facevano quasi star bene.
Sentivo in bocca uno strano sapore, dolce-amaro, gradevole e sgradevole al contempo. Però non mi sono fermato, nè mi andava di farlo. Per la prima volta, dopo anni, ho respirato a pieni polmoni.
Ti ricordi che ti dicevo di avere il petto compresso, di non riuscire a respirare con naturalezza?
L’altro giorno non era così. Respiravo smog, niente di speciale, ma mi sembrava che respirasse tutto il corpo.
Per un po’ pensavo a te, mi chiedevo se ti fossi svegliata o se stessi ancora dormendo. Che faccia avresti fatto al risveglio, senza trovarmi lì, accanto a te? Non sentivo di averti fatto un dispetto, questa era la cosa strana. Altre volte me ne sono andato, ma di solito succedeva subito dopo un litigio, sbattevo la porta, te mi urlavi dietro, io ti mandavo a quel paese, facevo un giro, magari anche di un paio d’ore, e poi tornavo. E la strategia della ripicca continuava al rientro, come due bambini.
Ci piaceva così, e credo ci piaccia ancora, sotto sotto.
L’altro giorno però non ero lì, per strada per farti un dispetto. Ero lì per me, ero lì per guardare il mondo coi miei occhi, senza per forza doverti raccontare tutto quello che ho visto.
Ad un certo punto entro in un bar, mi siedo e ordino un cappuccino ed una brioche. Erano già le 11, ma avevo fame. Mentre aspettavo di essere servito nel bar è entrata una persona.
Una donna.
Una donna che conosci anche tu. Di solito quando la incontro e ci sei anche tu poi mi fai le battutine perchè pensi che mi piaccia, dici che sono imbarazzato di fronte a lei, e che lei sotto sotto ci prova con me.
Mi ha visto e si è seduta lì, con me. Si stupiva del fatto che io fossi solo, mi ha chiesto di te, ma sono stato evasivo, mi scoccia la gente che si impiccia con l’intenzione di farlo. Allora abbiamo iniziato a parlare di altro. Mentre lei parlava i miei orecchi si sono sintonizzati sulle sue emissioni vocali, come una radio che si sintonizza su un canale e ne riporta i suoni. Ma il resto non badava ai suoni. Badava alla musica di quella donna, ad una serie di sensazioni che via via mi faceva emergere. Mi distraevo a guardarle le labbra, le mani, davvero belle, i seni, che si intravedevano dalla maglietta. Per un attimo mi sono sentito tremendamente attratto da lei, fino quasi a temere che lei stessa se ne accorgesse.
Quando mi sono reso conto di quello che stava accadendo, e soprattutto che non avevo capito un bel niente di tutto il suo racconto, mi sono come risvegliato, bruscamente, mi sono alzato, ho preso il cappotto, le ho dato un bacio in fronte, ho pagato il conto, e sono uscito dal bar, correndo più veloce che potevo verso casa, fra lo stupore suo e...del barista!
Ho salito le scale due alla volta, sono rientrato non proprio in punta di piedi, ho mollato tutto sul divano, scarpe comprese, e mi sono infilato nel letto, nudo, accanto a te, nuda come solo tu sai essere, che ancora eri avvolta in un morbido sonno. Mi sono avvicinato a te, tu ti sei voltata, mi hai fatto un sorriso, mi hai abbracciato, e ti sei riaddormentata.
Ed io con te.
Ti amo, insomma.
Ti amo al punto da odiarti più di ogni altra cosa. Ti amo perchè ora riesco a dirtelo, e dirtelo mi fa sembrare che ti amo ancora di più.
Ti amo come una volta, forse più di una volta, perchè il mio amore si sta trasformando da una gabbia per due, ad un viaggio.
Ti amo perchè so che mi ami, e spessi non mi chiedi di amarti di più.
Ti amo perchè sei stronza e imprevedibile.  Ti amo perchè io senza di te non sarei di meno, ma sarei diverso. Mentre con te non sono un libro di storia, ma lo scrittore che scrive il libro.
Alla fine ti amo senza un vero perchè, anche se mi affanno a elencarne dentro di me. Credo che amarti mi serva, a respirare, fino in fondo, come l’altro giorno, tanto che per un attimo non c’eri più tu, e ti ho amata di più.

Lo so, le mie lettere possono migliorare.
Ma erano anni che non ti scrivevo. Erano anni che non trovavo parole messe lì, un po’ malamente, per raccontarti questo corpo, prima di doverne uscire.
Oggi ho preferito scriverti, invece di andarmene a fare due passi, come l’altro giorno. Fa freddo fuori, e stare qui, nella stanza accanto, a scrivere a te di noi, è come passeggiare in un prato e dialogare con il cielo. Chissà se avrò il coraggio di dartela questa lettera, ma almeno l’ho scritta, è già un passo avanti.
Ora torno nel letto...ho parlato così tanto di te, che ora ti devo stringere.
E siccome, se avrò il coraggio, ti darò questo scritto al tuo risveglio, concludo augurandoti, di cuore, il buongiorno, mia dolce, splendida, affascinante Vita.

 Scritto dal mio docente , dott, michele galgani

ascolta ciò che non dico.


Per favore, ascolta ciò che non dico.
Non lasciarti ingannare da me.
Non lasciarti ingannare dalle mie apparenze.
Perché sono solo una maschera, forse mille maschere che ho paura di togliere, anche se nessuna di esse mi rappresenta.
Do l’impressione di sentirmi sicuro, che tutto procede a gonfie vele, dentro come fuori, di essere la fiducia in persona, di possedere la calma come una seconda natura, di controllare la situazione e di non  aver bisogno di nessuno.
Ma non credermi, ti prego.
Ecco perché ho costantemente bisogno di una maschera che mi nasconda, che mi protegga dallo sguardo che capisce. Ma tale sguardo è la mia salvezza, la mia unica salvezza. Ed io lo so.
Ma questo non te lo dico. Non ho il coraggio.
Ho paura che il tuo sguardo non sia seguito dall’accettazione, dall’amore. Ho paura in fondo di non valere niente, che tu ti accorga di questo e mi rigetti.
L’amore è più forte di ogni resistenza e qui sta la mia speranza, la mia sola speranza. Chi sono, ti domandi?
Sono qualcuno che tu conosci molto bene.
Sono ogni persona che incontri.
Sono…te stesso.!!


 dot. ssa Rita Maione

giovedì 25 agosto 2011

Che cosa si intende per Arteterapia


Per arteterapia, nella prospettiva del metodo dell’Arte Globale, si indica un
intervento fondato su comportamenti e capacità creative prodotte dal
soggetto ed orientato alla soluzione di un problema specifico, con obiettivi
terapeutici specifici sia diretti che indiretti. Le variabili conosciute divengono
gli strumenti per un intervento efficace.
Definizione di un concetto di Arteterapia
L’ arteterapia consiste nell’impiego delle diverse discipline artistiche o
creative e dei loro codici espressivi specifici, tutto è orientato ad un
obiettivo mirato. Per creatività si intende un comportamento naturale già
presente nel bambino, che nella pratica estensiva diviene una forma di
linguaggio evoluto, detto anche arte: arte visiva, musica, fotografia,
scrittura, narrazione, danza e soprattutto teatro, che è già multidisciplinare
per sua natura perché le contiene tutte le altre forme d’arte. In un
approccio olistico i differenti codici che coinvolgono le vie cognitive e
percettive nell’attività ludico-creativa vengono utilizzati tenendo conto delle
differenze e preferenze individuali, oltre che dell’aspetto intellettuale ed
emotivo, in questo modo è possibile ottimizzare i risultati. Gli elementi che
costituiscono l’intervento arteterapeutico possono quindi essere tarati su
misura per la persona come il dialogo in un colloquio clinico, questi codici
simbolici possono divenire una via preferenziale per la comunicazione in
particolare dove si incontra povertà di linguaggio. Questo approccio lo
definisco multidisciplinare perché, come specificato sopra, impiega diverse
tipologie di attività artistica e creativa in forma ludica coinvolgendo tutte le
aree della persona: dalla sfera emotiva a quella cognitiva, entrambe
connesse alla della coordinazione psicomotoria fine. Proprio il gesto legato
all’intenzione e all’emozione che produce un risultato osservabile e
modificabile nel mondo esterno conferisce all’arteterapia una qualità che
manca a molte forme di psicoterapia convenzionali, dove il colloquio rimane
sostanzialmente l’unica strumento a disposizione del terapeuta.
L’arteterapia è uno strumento come altri che i terapeuti hanno a
disposizione, non deve essere considerata ad esclusivo appannaggio di
psicologi o psichiatri ma deve restare aperta all’apporto delle scoperte
derivate dal lavoro di tutte le persone che la metodo in pratica seriamente
nelle loro professionalità; trattandosi una disciplina giovane, se isolata,
rischierebbe altrimenti di divenire sterile. Le procedure non devono essere
rigide: sia la persona che le situazioni evolvono così come i problemi. Nel
corso di una sola stessa seduta può accadere qualcosa di cui si deve
immediatamente prendere atto, correggendo all’occorrenza la metodologia.
L’arte nell’evoluzione dell’uomo è un’espressione antica ma in un contesto
terapeutico moderno che si propone obiettivi specifici e verificabili è ancora
una cosa nuova, che deve crescere.
Finalità dell’Arteterapia
Le finalità sono essenzialmente tre. La prima, il primo livello, è quello di
lettura: nell’azione creativa, esercitata in forma di gioco quindi meno
soggetta a forme di controllo tipiche del linguaggio parlato, possiamo
leggere la natura di un’eventuale problematica insieme alle risorse già
presenti nell’individuo per il suo superamento. Potremmo dire che
determinati atti creativi, opportunamente canalizzati, anche spontanei, sono
delle vere e proprie dichiarazioni simboliche intimamente connesse al
vissuto personale. Non di rado capita di cogliere in disegni o composizioni
di altra natura una rappresentazione relativa ad un conflitto interiore non
dichiarato apertamente. Spesso mescolati ai vari nuclei compositivi, per
esempio che costituiscono una collage, si possono trovare suggerimenti
simbolici riguardanti le soluzioni pragmatiche di un problema. Il processo si
svolge in modo del tutto spontaneo ad insaputa dell’individuo stesso che ha
prodotto l’opera. Questo è possibile in quanto le resistenze normalmente
attive nei colloqui vengono aggirate dalla distrazione e dalla concentrazione
che implica il gioco creativo. Insieme agli aspetti delle sfera emotiva vanno
considerati quelli dell’area cognitiva: in una composizione pittorica
possiamo acquisire utili informazioni riguardanti l’intelligenza associativa e
la struttura di personalità, la capacità di problem solving ed i margini di
sviluppo e recupero. In pratica le opere di creatività possono espletare una
funzione strumentale conoscitiva molto profonda al pari di molti test
proiettivi o intellettivi, senza però averne le caratteristiche standardizzate.
Il secondo livello terapeutico è individuale e impiega l’atto creativo come
azione risolutiva concreta dall’interno verso l’esterno. Una volta definiti gliobiettivi si possono utilizzare i linguaggi artistici per aggirare difficoltà
comunicative e problemi d’altra natura, ad esempio affettiva. Le potenzialità
espressive individuali vengono incoraggiate tramite la pratica di quelle
discipline in cui la persona è maggiormente dotata, o al contrario carente.
Sul piano introspettivo l’uso del linguaggio simbolico dell’arte permette
all’individuo di accedere un percorso di crescita che coinvolge in primo
luogo verso ma si orienta poi verso lo sviluppo della socialità. Piani di lavoro
individualizzati tengono conto di esigenze personali specifiche quali lo
sviluppo di aspetti carenti nella personalità, il superamento di conflitti o
determinate strutture concettuali rigide ed obsolete, la consapevolezza dei
contenuti della sfera emotiva e delle proprie potenzialità di crescita.
Per mezzo dell’arte, il linguaggio adulto della creatività, una persona può
giungere a realizzare una parte di se che non trova spazio nella
quotidianità, in particolar modo oggi nel lavoro. Per questo motivo la
letteratura di settore afferma spesso che le energie psicoaffettive che non
trovano la loro naturale applicazione nella vita quotidiana possono
trasformarsi in sintomo patologico. Invece, se opportunamente incanalate
nell’attività artistica attiva, l’originale nucleo problematico può trasformarsi
nella fonte a cui si attinge per la realizzazione di opere di creatività. La sua
valenza diviene da sterile / negativa a positiva / propositiva. L’individuo si
pone rispetto a sé e agli altri in maniera costruttiva, senza doversi
adeguare a modelli rigidamente predefiniti, esprimendo così quella parte
della sua natura che non trova altrimenti espressione.
Al terzo livello l’arteterapia si propone come mezzo di integrazione sociale,
che si palesa nell’incontro del singolo col gruppo ed eventualmente col
pubblico per mezzo di eventi culturali opportunamente organizzati. Questi
episodi hanno una funzione estremamente strutturante e insieme
educativa. Ad esempio in un certo tipo di teatro, pur esistendo dei ruoli
definiti, le persone che partecipano devono rispettare delle regole
mantenendo ampio margine di libertà espressiva. Si ritrova quindi
all’interno di un contesto in cui vanno ad inserirsi i membri del gruppo una
struttura che riflette le caratteristiche di una piccola società a misura d’
uomo. La finalità sociale dell’arteterapia è forse la sua qualità più
importante. Nei laboratori che conduco cerco sempre di proporre come
scopo ultimo la produzione di un evento: una mostra, un concerto, uno
spettacolo teatrale o altre forme ibride. La forza del metodo
multidisciplinare si fonda sull’interazione dei diversi linguaggi che l’arte
impiega all’interno di un singolo evento pur mantenendo la loro identità
distinta. Le terapie della psicologia e della psichiatria moderna devono
proporre strumenti integrativi efficaci che aiutino le persone ad affrontare
meglio la quotidianità e migliorare la vita negli aspetti più comuni poiché
questi corrispondono alle necessità umane fondamentali.
L’arteterapia è una forma di comunicazione
L’arteterapia è un linguaggio individuale e collettivo. Tramite l’atto creativo
l’individuo dice qualcosa che riguarda la sua esperienza. La creatività
esercitata in forma di gioco, in modo non accademico o scolastico, può
essere una chiave di lettura. I contenuti dei messaggi artistici espressi in
forma libera libero spesso sono più spontanei rispetto a quelli del colloquio,
dove è esercitato un maggior controllo, essendo formulati però in forma
simbolica sono talvolta anche più difficili da decifrare. Ciò non è molto
dissimile dalla tecnica delle libere associazioni usata in, strumento di
indagine privilegiato che si snoda in un percorso non logico ma appunto
associativo ed analogico. Dal momento che la logica razionale non tollera
facilmente oggetti non collocabili in reti concettuali strutturate, piuttosto
tende a escluderle tali rappresentazioni quando si presentano; non per
questo motivo significa che tali oggetti non esistano. L’inconscio come
istanza psichica largamente riconosciuta opera probabilmente proprio
mediante meccanismi analogici piuttosto che logici. Pur possedendo le
opere di creatività migliori una solida struttura formale sono però prive di
forza se mancano di contenuto poetico. La poetica riguarda quegli elementi
non logici capaci di suscitare contenuti emotivi, affettivi e simbolici. L’arte,
al contrario di una dichiarazione politica, che si vuole oggettiva per quanto
possibile, resta soggetta a interpretazioni molteplici. Deve essere in qualche
modo vuota, o meglio libera della personalità di chi l’ha realizzata: è così
possibile utilizzarla come un contenitore, uno specchio attraverso cui si
verifichi un meccanismo di identificazione grazie al quale gli altri possano
esplorare se stessi, un po’ come accade in un salotto comodo o in un luogo
interessante da visitare.
La funzione della creatività è educativa e dotata di due aspetti
fondamentali: una funzione strutturante e una destrutturante. Alcune
problematiche possono sussistere perché la persona è oberata da un
eccesso di strutture psichiche di controllo, siano esse di natura sociale o
problemi concreti che l’individuo non riesce a risolvere a causa della sua
rigidità. In questo caso è opportuno creare un contesto in cui durante
l’attività questa persona possa alleggerirsi di questi pesi un po’ per volta. In
questo caso la funzione dell’interveto arteterapeutico sarà destrutturante.
Un esempio utile è il caso di un soggetto che abbia difficoltà a vivere ed
esprimere pienamente le emozioni, perché in qualche modo se lo nega.
Attraverso l’esperienza artistica può farne esperienza rimanendo al tempo
stesso protetto poiché la contestualizzazione funge da protezione
giustificando l’espressione emotiva in relazione al gruppo. Da un altro lato,
si presentano invece situazioni con patologie importanti cui l’individuo
necessità di un percorso rieducativo che gli fornisca strumenti adeguati per
integrarsi socialmente, mezzi di cui fa un uso improprio o povero. In questo
caso l’intervento avrà una funzione decisamente riempitiva e strutturante.
Oggi è condiviso un concetto più moderno e forse corretto di disturbo
psichico perché si parte dal problema della sofferenza percepita: alcuni
comportamenti originali non sono più definibili come patologici a meno che
siano vissuti con un disagio percepibile o arrechino danno al prossimo.
In un modello teorico viene definito il concetto di intelligenza emotiva come
la capacita di gestire le emozioni in maniera adeguata in rapporto al
contesto. La rieducazione è un compito che coinvolge l’operatore non
soltanto per quanto riguarda l’aspetto emotivo ma anche quello del
pensiero e le modalità attraverso cui è processato, quando si possano
riscontrare disordini e carenze. Nella psicosi l’attività creativa può
canalizzare l’energia emotiva allo stesso modo in cui un letto artificiale può
contenere il corso di un fiume, aiutando il paziente a strutturare personalità
e pensiero al tempo stesso, dandogli la possibilità di acquisire
gradualmente risposte affettive più consapevoli e adulte.

La creatività migliora la capacita di associare, a mio avviso la forma di
intelligenza più alta perché in grado di produrre qualcosa di nuovo
attraverso le operazioni sintetiche di problem solving. Molte patologie della
sfera psicotica intaccano proprio questa capacità associativa nella forma
volontaria e lucida. Ecco che in questi casi l’arte si propone con una
funzione altamente strutturante ed educativa. Il controllo clinico viene
esercitato sulle variabili osservate per quanto possibile in una materia come
l’arte: quelle coinvolte a produrre il cambiamento, oppure sul margine di
tolleranza ed elasticità delle strutture psichiche al fine per non creare
carichi o un vuoti che creino disagio. Un costante monitoraggio delle
reazioni in rapporto agli stimoli proposti è necessario per valutare gli
obiettivi prefissati. Ma in ultima analisi non è tanto il controllo dell’individuo
che interessa il terapeuta, quanto il senso di libertà di cui il soggetto può
fare esperienza e gestire per mezzo dell’azione creativa.
di Stefano Scippa

Usa l’arte per non essere in disparte




Arte psico terapia nella globalità dei linguaggi!


Per arte-psico terapia nella g.d.l (globalità dei linguaggi) si intende una attivazione di risorse che tutti abbiamo.
Sviluppa la capacità di elaborare il proprio vissuto consiste nel trasmetterlo creativamente agli altri. È un processo educativo, laddove educare sta per “educere”  portar fuori: far emergere la consapevolezza una maggior conoscenza di sé mediante la pratica espressiva, l’osservazione e il confronto. Gli ambiti di intervento sono fondamentalmente quello educativo, riabilitativo e terapeutico. Anche se i confini tra loro risultano di frequente indefiniti o sovrapposti. Questa attività si rivolge non solo a chi possiede conclamati problemi di natura fisica e/o psichica, ma, può rivelarsi un esperienza straordinaria perché attiva meccanismi di apprendimento attraverso la modularità del gioco.
Il lavoro creativo e la possibilità di canalizzare l’esperienza con il gioco dà modo di costruire un ponte reale tra interno ed esterno, tra consapevole ed inconsapevole.
Infatti nessuno manifesta giudizi, preferenze  estetiche o morali nei confronti dei lavori altrui, in quanto lo scopo è quello di agevolare l’individuo ad esprimersi
nell’involucro del gruppo.
Il lavoro dell’arte terapia consente al soggetto di vivere ed esprimere il proprio spazio interiore e contemporaneamente consente di far affiorare alcuni nodi conflittuali senza dover necessariamente vivere conseguenze spiacevoli e poco gestibili, perciò inaccettabili.